Fondazione Cariplo, Azzone: "Credere insieme nel futuro"
Intervista al presidente dell’ente filantropico che presenta le attività per il 2024: un budget di oltre 153 milioni di euro su quattro direttrici strategiche nelle quattro aree di intervento
Il 24 novembre Fondazione Cariplo ha presentato le attività per il 2024 mettendo a disposizione un budget di oltre 153 milioni di euro. L’evento di Milano ha avuto come titolo “Credere insieme nel futuro”. Ne abbiamo parlato con il presidente della Fondazione, Giovanni Azzone.
Fondazione Cariplo: "Credere insieme nel futuro"
Presidente, può spiegarci meglio questo titolo?
"Usiamo tre termini, tutti importanti. Futuro: siamo in un mondo che cambia e il nostro obiettivo è ragionare su come sta cambiando e su come possiamo svolgere il nostro ruolo. Credere: vogliamo avere una visione positiva del futuro. Può spesso predominare il pessimismo, se pensiamo alla pandemia prima e alle guerre adesso. Ma noi riteniamo che una comunità come la nostra ha sempre vissuto di voglia di fare, e vogliamo continuare a crederci. Insieme: conoscere il territorio serve a capire come possiamo costruire qualcosa di positivo, per superare l’idea che vengano calati dall’alto interventi con ricette studiate a tavolino. Dobbiamo lavorare con tutte le forze del territorio - Terzo Settore, Pubblica amministrazione, fondazioni e imprese – con tutti coloro che possono dare un contributo per un futuro migliore".
I primi mesi del suo mandato li ha trascorsi soprattutto girando i territori della Lombardia, oltre che delle province di Novara e Verbano Cusio Ossola. Cosa è emerso da questa fase di ascolto?
"È emerso un quadro caratterizzato da elementi di preoccupazioni e di ottimismo. Preoccupazioni derivanti da fattori esogeni, che non possiamo trascurare. Un primo fattore è di carattere demografico: l’invecchiamento complessivo della popolazione, con conseguenze comuni che si declinano sui territori in modo diverso. Dove c’è un tessuto industriale molto forte la preoccupazione è che non ci sia un ricambio generazionale della forza lavoro necessaria. Dove invece è più diffuso il turismo, la preoccupazione è quella di perdere il senso di comunità, con i vari affitti brevi che dominano i centri storici. Quindi dobbiamo pensare per tempo a interventi che possano compensare questo tipo di dinamiche. Invecchiamento della popolazione e cambiamento della vocazione economica, tra manifatturiero e turismo, sono due segnali forti che abbiamo colto".
Questo viaggio sta alla base della costruzione del progetto di intervento che avete messo a punto per i prossimi anni. Quale sarà la visione strategica?
"La nostra visione generale è rafforzare queste comunità, con l’idea che non possiamo dare per scontato il permanere nel futuro dei fattori positivi se non facciamo nulla. La lettura del territorio è servita a capire che rafforzare una comunità deve essere un messaggio al plurale. Il nostro territorio è vasto e integrato ma al suo interno ci sono comunità diverse tra di loro, per cui la declinazione che abbiamo scelto nasce da questa percezione: intervenire a sostegno e contemporaneamente evitare che sia percepito come calato dall’alto e standardizzato, ma che vada a muoversi come un enzima su diverse culture di innovazione".
Le quattro linee di azione per i prossimi anni
Ci dettaglia le attività?
"Abbiamo declinato la nostra azione in quattro grandi linee. La prima è contribuire allo sviluppo di ecosistemi di innovazione, cioè ci interessa che siano i singoli territori a creare una linea di sviluppo strategico. Su questo Fondazione Cariplo vuole lavorare in tanti modi, come con i progetti emblematici. Facciamo due esempi, il distretto della riabilitazione di Lecco o il sistema del violino e della liuteria di Cremona. Progetti completamenti diversi che però nascono da punti di forza del territorio".
La seconda linea di azione?
"Il tema delle disuguaglianze, che si inserisce in questo ragionamento di rafforzamento. Vogliamo sviluppare la capacità di creazione di futuro nei territori, anche perché riducendo le disuguaglianze la qualità di vita di un territorio aumenta e si innesca un circolo virtuoso. Alcune linee su cui ci muoviamo sono più tradizionali, come i bisogni primari - la casa e il cibo; oppure il tema dei diversamente abili e quello della qualità ambientale: su questo aspetto vediamo un rischio di iniquità tra generazioni, ma anche a livello sociale, in quanto i maggiori costi dell’energia colpiscono di più le fasce della popolazione già in difficoltà. Vogliamo leggere questi temi, e altri due tradizionali come gli anziani e i giovani, con lo sguardo rivolto verso il futuro".
Cosa vuol dire verso il futuro?
"Vuol dire che il mondo sta cambiando, stiamo andando verso una società sempre più digitale e le povertà cambiano. Cito due esempi: sugli anziani il tema del digital divide riguarda l’accesso ad alcuni servizi elementari, come i media e l’informazione, o i servizi bancari con la chiusura delle filiali, o come lo Spid necessario per accedere ai servizi pubblici. Sui giovani, la povertà educativa non è solo riferita ai Neet, ma anche a coloro che escono dal mondo della formazione in anticipo e a tutti gli adolescenti, con l’obiettivo che riescano a sviluppare competenze e capacità critiche in un mondo dove sono sottoposti a un forte bombardamento informativo. Esempi di come stiamo ragionando sull’adattamento di ricette tradizionali a una società che cambia. La Fondazione è un bellissimo transatlantico, che non può fare delle virate improvvise, però quando le condizioni del mare cambiano anche il transatlantico deve correggere la rotta".
Passiamo alla terza linea di azione.
"La terza linea l’abbiamo definita “allargare i confini”. Vogliamo essere una fondazione che opera a livello europeo, una presenza che abbiamo sempre avuto ma che vorremmo rendere più strutturale. Ormai operare bene in Lombardia e in Piemonte richiede una chiara presenza all’interno di reti sovranazionali e nelle commissioni consultive comunitarie. Ovviamente con una presenza anche a livello nazionale".
Ultima direttrice di azione?
"E’ quella che abbiamo chiamato ‘costruire le condizioni abilitanti’, nel senso che Cariplo ha due funzioni. Una di enzima, come già accennato: non possiamo fare tutto da soli ma possiamo contribuire a rafforzare i segni di sviluppo. L’altra, essere una sorta di mediatore culturale: molti dei progetti su cui interveniamo richiedono la compresenza di attori differenti. Uno dei problemi che vediamo è il cambio generazionale, quindi non possiamo permetterci che il 20% dei giovani siano dei Neet. E non possiamo permetterci di non avere un accesso al mercato del lavoro per i diversamente abili. Allora, come affrontare questi problemi? Abbiamo bisogno di un sistema delle imprese che crei opportunità di lavoro inclusive; di un sistema pubblico che crei occasioni di formazione; di un Terzo Settore che ha la capacità di ingaggiare le categorie più fragili. Servono tutti e tre, contemporaneamente: mondi che ancora fanno fatica a parlarsi, quindi Fondazione Cariplo, insieme alle Fondazioni di Comunità, è abituata a parlare con tutti e può svolgere un ruolo significativo".
Anche il Terzo Settore ha bisogno di condizioni abilitanti?
"Questo è un tema rilevante che tocca soprattutto il Terzo Settore: l’invecchiamento della popolazione e la digitalizzazione sono dinamiche che agiscono anche su questo mondo. Un settore importante e robusto ma che sta invecchiando, ed è sempre più difficile attrarre giovani che si appassionino alla solidarietà. E l’invecchiamento del Terzo Settore rende difficile sviluppare le competenze necessarie al suo interno. Noi possiamo fornire opportunità di sviluppo e formazione, costruendo anche sistemi di analisi dei dati che possono aiutare il Terzo Settore a cogliere meglio le aree di intervento".