Cronaca

Coronavirus, un messaggio di speranza a Sondrio dagli amici del Brasile

Monsignor Ailton Menegussi: "La speranza è un'ancora per la nostra vita".

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Un messaggio di vicinanza dal Brasile.

Lettera inviata all'associazione Sondrio - São Mateus

Francesco e Maria Racchetti, dell'associazione Sondrio - São Mateus: A dança da Vida, vogliono condividere una lettera inviata da dom (monsignor) Ailton Menegussi, attuale vescovo di Crateús ma in precedenza sacerdote di São Mateus e fin dall'inizio attivo e partecipe sostenitore del gemellaggio tra il capoluogo e la città brasiliana. Lettera che ha fatto pervenire ai responsabili del sodalizio sondriese per testimoniare la sua amicizia e la sua vicinanza in questo difficile momento.

Ecco il testo integrale della lettera

Carissimi fratelli e sorelle nella fraternità universale, fratelli e sorelle nella fede in Cristo, fratelli e sorelle nelle radici culturali...

“La speranza è un’ ancora per la nostra vita” (San Paolo, Lettera agli Ebrei). “Sperando contro ogni speranza, Abramo credette e divenne padre di molte nazioni... Egli non tentennò nella fede” (Lettera ai Romani 4,18-19). Con queste parole delle Sacre Scritture, desidero aprire le mie braccia, in modo che il mio abbraccio giunga a ciascuno di voi, in questo momento “terribile” in cui si trova l’intera umanità e in particolare l’amato popolo italiano, della cui discendenza in terra brasiliana mi sento parte.

In questi giorni il clero di Crateús si trova in ritiro spirituale. Qui non ci si chiede se il virus arriverà, ma quando e con che forza. Una meditazione del nostro predicatore parla in maniera molto opportuna ai nostri cuori, in questi tempi difficili: “La nostra generazione sta attraversando un deserto, un momento storico segnato da molti eventi drammatici: guerre, coronavirus, intolleranza, catastrofi naturali, ultraconservatorismo, chiusure nazionalistiche... Tutte queste frammentazioni rendono difficile riconoscerci come tutti contemporanei, corresponsabili l’uno dell’altro, fratelli l’uno con l’altro. E così stiamo costruendo un deserto di esseri umani stanchi, inquieti, agitati, demotivati, nevrotici, violenti. Si tratta di un deserto prodotto dall’assenza di Dio, dalla mancata percezione della presenza del divino”.

Che fare? Disperare? Giammai. Si deve, invece, scoprire, sperimentare e testimoniare la grande speranza. Non la semplice speranza umana, tante volte e variamente promessa dalla scienza mediante i progetti di sfruttamento predatorio della natura o dalle ideologie totalitarie. No. Non è di queste speranze sempre necessariamente parziali che voglio parlare. Parlo della Grande Speranza con la “S” maiuscola; della Speranza che veramente ci può consolare ed ispirare, che agisce e ci guida in questo deserto della storia. Speranza che viene dalla fede.

La fede, la speranza e la carità – virtù teologali – ci appaiono come punti focali della nostra esperienza cristiana. La fede ci dice che Dio esiste; la carità ci dice che Dio è amore, ma è la speranza che attesta che Dio realizzerà ciò che è nel suo desiderio. E Dio desidera che noi siamo felici. Dio vuole che l’umanità, in questo momento, si interroghi su molti atteggiamenti adottati in relazione a Lui, ai nostri simili, alla nostra Casa Comune. Cos’è che questo piccolo essere – il coronavirus - invisibile ai nostri occhi, sta dicendo ad un essere umano tanto compreso di sé, autosufficiente, orgoglioso delle sue conquiste e dei progressi ottenuti a prezzo di tanti sacrifici umani e di tanto disprezzo per la vita?

Le famiglie hanno più tempo per incontrarsi e conversare proprio grazie alla quarantena; grazie ai pochi veicoli circolanti, l’aria è più limpida e pura di quanto sia mai stata negli ultimi tempi; il sistema sanitario sta capendo che non è privatizzando il proprio servizio che sconfiggerà le malattie; e così via...

Mi ricordo molto bene di Francesco e Maria, di Pierandrea, Micol, Matteo, Luca, Mattia, Laura, Margherita, Valentina, Giulia, Serena 1 e Serena 2..., giovani scout di Sondrio e di Morbegno coi quali ebbi la grazia di convivere alcuni giorni a São Mateus. So che ve ne erano anche altri, di cui al momento non ricordo il nome: in fondo sono passati vari anni [era il 2003, 17 anni fa]. È attraverso di loro e per mezzo loro che in questo momento abbraccio tutti e ciascuno e ciascuna personalmente, comunicando quella certezza fondata nella Grande Speranza cristiana: Dio realizzerà ciò che desidera. Ed Egli vuole che siamo più umani, più forti e che abbiamo ragione di questo “deserto”. Traversato il deserto quaresimale ci sarà la Pasqua. Preghiamo gli uni per gli altri in una grande corrente di amore e di solidarietà. Una volta ancora apro le mie braccia, affinché il mio abbraccio raggiunga ciascuno di voi.

Con il più sincero affetto, di tutto cuore,

Dom (monsignor) Ailton Menegussi

Vescovo di Crateús

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