Crisi del lavoro in Provincia di Sondrio, il prezzo più caro lo pagano le giovani donne
Sono dati allarmanti quelli riportati da CGIL Sondrio.
Secondo i dati elaborati dal Centro studi della Cgil di Sondrio a pagare il prezzo più caro anche di questa crisi lavorativa, alla luce della pandemia, sono le giovani donne.
Dati allarmanti
Nell’analisi proposta da CGIL Sondrio e firmata da Michela Turcatti, Segreteria confederale Cgil Sondrio, si legge:
Considerando le comunicazioni obbligatorie relative alle attivazioni e alle cessazioni di rapporti di lavoro in provincia di Sondrio dal 2019 al primo semestre 2021 si tratta di dati allarmanti, che si sommano a quelli già drammatici del passato e che si tradurranno, inevitabilmente, anche sul loro futuro pensionistico.
Occupazione sempre più precaria
Si parla di ripresa economica, ma questa non si traduce in aumento dell’occupazione, che è sempre più precaria. A pagare il prezzo maggiore sono ancora le donne. Fa certamente ben sperare il saldo che, contrariamente ai primi trimestri 2019 e 2020, per il 2021 è positivo e quindi dovrebbe dare riscontri altrettanto positivi nella seconda parte dell’anno. Anche questo buon risultato penalizza però l’occupazione femminile. Infatti il saldo positivo di 2562 unità è basato sull’attivazione di 2065 uomini e solo 497 donne.
Effetto della pandemia
Se concentriamo l’attenzione sul genere comprendiamo ancora meglio come la pandemia abbia colpito duro sull’occupazione femminile, che già paga fenomeni come la minor durata dei contratti, l’occupazione precaria e i part-time involontari, oltre a più bassi salari. Dal 2019 il saldo attivazioni-cessazioni per le donne è negativo di 606 unità. Emerge una situazione ancora più critica: se si prende in considerazione la pandemia e quindi il solo periodo 2020-primo semestre 2021, il saldo è negativo di 1349 unità.
In generale, Il 66% delle attivazioni nel periodo è rappresentato da contratti a tempo determinato e solo l’11% è a tempo indeterminato. Il 5% sono contratti di apprendistato. Ed è proprio l’universo femminile quello maggiormente investito dalla precarietà e da contratti a scadenza, incerti, brevi.
Per quanto riguarda le cessazioni, solo nel primo semestre 2021 il 24% è per dimissioni (2680). Rispetto a ciò, sappiamo purtroppo, da analisi e monitoraggio del nostro ufficio vertenze, che la motivazione di recesso “volontario” delle donne dal lavoro, nella quasi totalità dei casi, riguarda la necessità di dover scegliere, spesso forzatamente, fra lavoro e famiglia. Una dinamica che non si riscontra, invece, per gli uomini, che decidono di dimettersi principalmente per cambiare lavoro e/o azienda.
Rischiamo un peggioramento
I dati fin qui analizzati sono stati elaborati in un periodo in cui vigeva, fino al 31 ottobre, il blocco dei licenziamenti. Temiamo pertanto, visto che questo è venuto meno, che ci troveremo di fronte a un ulteriore peggioramento della situazione. Questo provvedimento era attivo soprattutto in settori ad alta occupazione femminile (turismo, commercio e servizi). La ricaduta, sempre in tal senso, sarà inevitabile, così come sarà inevitabile un continuo peggioramento se non ci sarà un complessivo cambio di rotta, di paradigma, anche per quanto riguarda il welfare. Finché la cura sarà intesa come una questione esclusivamente femminile, poche o nulle saranno le possibilità di invertire il trend che vede la popolazione femminile relegata alla precarietà e alla cura di figli, prima, e anziani, dopo.
Riconversione green
Il futuro e le sfide ad esso collegate ci portano verso una non più rinviabile riconversione green, che dovrebbe essere accompagnata a una riconversione nell’occupazione che tenga conto del genere. In tal senso, pensiamo al prossimo appuntamento con le Olimpiadi, dove ci auguriamo, data la natura delle attività che verranno potenziate e saranno protagoniste, che ciò si traduca in buona occupazione, anche femminile.
Gli effetti nel futuro
Inoltre il tema della sottooccupazione o cattiva occupazione femminile non riguarda solo il presente. Risulta infatti evidente che da scarsa occupazione, salari bassi e scarsità di contributi deriveranno pensioni povere, ben al di sotto dei livelli di quelle maschili.
Basti analizzare i dati relativi alle pensioni in provincia di Sondrio riferite al 2020 (che illustrano comunque condizioni lavorative passate migliori rispetto a quelle attuali): a fronte di 13.017 accessi a pensione anticipata, di anzianità (ovvero legata ai contributi) da parte degli uomini, solo 3.776 sono quelle femminili, pari al 22,5% del totale.
Questo accade perché le donne lavorano meno e con meno probabilità degli uomini raggiungono i contributi necessari per poter accedere a una pensione di questo tipo. Sono infatti molto più alte le pensioni di vecchiaia femminili, pari al 71,9% del totale, dal momento che in questo caso “bastano” i 20 anni di contributi, consentendo un accesso però alla pensione molto più in là nel tempo e con importi inevitabilmente ridotti.
Pensioni
Analizzando infatti gli importi delle pensioni, il valore delle stesse è di gran lunga inferiore se si tratta di donne rispetto agli uomini. La pensione anticipata, di anzianità delle donne ha un valore che si aggira intorno al 66% rispetto al valore delle medesime pensioni degli uomini. E anche rispetto alla pensione di vecchiaia, il valore donne/uomini è pari a poco più del 70% del valore della pensione maschile.
Questo ci dice molto, anche se, come premesso, le pensioni attuali riflettono una situazione economica e lavorativa che era certamente più favorevole rispetto a quella attuale, anche nei confronti delle donne.
Donne penalizzate
Purtroppo, è tanto chiaro quanto drammatico che le donne sono penalizzate nel corso della loro vita lavorativa, con meno opportunità, lavori mediamente più poveri, stipendi inferiori e minori contributi, a cui corrisponderà una inevitabile povertà legata alla pensione, che spesso si traduce in impossibilità di autodeterminazione e indipendenza, tanto nel presente, quanto nel futuro.