Stop impianti da sci, è un dramma che condanna la nostra provincia
Fermare gli impianti da sci significa inchiodare la realtà economica provinciale: turismo, ristorazione, servizi legati all’ospitalità, commercio e agricoltura al palo.
«Una decisione immotivata, incomprensibile e inaccettabile nella sua intempestività, irrispettosa di tanti operatori della filiera turistica e dell’indotto, che fino all’ultimo avevano messo in campo mezzi e risorse per adeguarsi alle stringenti regole antiCovid concordate per la ripartenza in montagna in tutta sicurezza». Questo il commento a caldo di Roberto Galli, presidente di Federalberghi Sondrio attiva all’interno dell’Unione del Commercio e del Turismo, che si fa interprete della durissima reazione del comparto turistico della nostra provincia alla nuova battuta d’arresto decisa dal ministero della Salute a sole 12 ore dalla riapertura degli impianti da sci, annunciata per oggi 15 febbraio e slittata almeno fino al 5 marzo, alla scadenza dell’ultimo Dpcm.
Il danno e la beffa
«Tutto era stato organizzato, tutto è stato vanificato, con spiegazioni tecnicamente immotivate, da parte di un Comitato Tecnico Scientifico che ha contraddetto se stesso. Solo settimana scorsa si era espresso, infatti, in modo favorevole sul protocollo anticontagio predisposto per la ripartenza nelle stazioni montane e la Regione aveva dato il suo via libera.
Scenario ribaltato, dalla sera alla mattina e stagione invernale praticamente finita, con una pessima figura nei confronti dei clienti, che già nel periodo natalizio avevamo dovuto mandare via, e considerevoli ripercussioni a livello di immagine.
Quello che resta ora – aggiunge Galli - sono il danno e la beffa che colpiscono tutta la ricettività turistica, gli impiantisti, i maestri di sci, i ristoratori, ogni anello della filiera legata al turismo invernale, lavoratori compresi, che sono stati chiamati a dicembre, gennaio e poi di nuovo in questi giorni e sono dovuti tornare a casa per l’ennesima volta.
Il disagio e la costernazione si estendono ai commercianti, ai fornitori, al mondo agricolo, con un drammatico e sconvolgente effetto domino, mentre sui ristori per il comparto turistico non si sa ancora nulla».
Rabbia e amarezza
E montano, intanto, una rabbia che brucia e un’amarezza che ferisce. Si tratta, infatti, di un dietrofront che suscita un coro unanime di proteste. La critica diventa senza appello e generalizzata riguardo alla tempistica di questo nuovo divieto, che suona come una colossale e oltraggiosa presa in giro.
«Le motivazioni delle durissime reazioni degli operatori – spiega Roberto Galli - questa volta non sono solo economiche, ma riguardano anche e soprattutto le modalità stesse con cui vengono prese queste decisioni così delicate. Illudere su una possibile riapertura e poi bastonare con una mazzata a meta quasi raggiunta, è un colpo che fa male certo al bilancio del comparto, ma soprattutto al morale e alla dignità degli operatori e dei lavoratori. Meglio allora dire fin dall’inizio e con chiarezza che dovevamo restare chiusi per tutto l’inverno, con tempestivi e adeguati ristori».
Improvvisazione e superficialità
Si diffonde, dunque, la percezione che ci sia più di una falla nel sistema organizzativo, in uno scenario che resta di improvvisazione e superficialità: una sanità che a un anno dall’esplosione della pandemia è ancora in affanno, una campagna vaccinale che stenta a decollare, una politica che ha perso tempo ed è ancora incapace di dare risposte e di mettere a fuoco le reali esigenze degli imprenditori e soprattutto che cosa significa avere un’attività basata su un’organizzazione del lavoro complessa e sulla necessità di programmare.
«Accanto all’irritazione crescente, rimane la desolazione per le provviste acquistate che non potranno essere consumate, gli skipass già venduti e da rimborsare, le prenotazioni svanite, i giorni di lavoro sfumati. Gli albergatori sono disorientati e scioccati e, nel giorno in cui si poteva guardare con maggiore ottimismo alla possibile ripresa del turismo montano e provare a raddrizzare una stagione invernale mai partita, si ritrovano a svolgere l’amaro compito di gestire i clienti che, senza la possibilità di sciare, domandano solo di ritornare a casa».
Senza contare che permettere l’apertura degli impianti poteva essere un primo e buon banco di prova per testare l’efficacia dei protocolli antiCovid nelle stazioni sciistiche montane, con la Lombardia a fare da apripista.
«Sembra un accanimento ingiustificato a danno della montagna, per questa ragione non escludiamo di mettere in campo azioni anche eclatanti», conclude il presidente di Federalberghi Sondrio Roberto Galli.